domenica 28 settembre 2014

PARTIGIANI (3)

Partigiani di Bassano impiccati il 26 settembre 1944
La storia si sa che non è una faccenda molto pulita (1). Ma vedere il disastro che ci si lascia dietro quando si gioca sporco dovrebbe farci ricordare che dovremmo giocare, nel nostro presente, in modo il più possibile onesto. E rispetto al passato non si può nascondere la polvere sotto il tappeto, perchè prima o poi qualcuno la trova e ci si fa una brutta figura. E tutta questa storia del fascismo e della Resistenza è una di quelle che abbiamo bisogno di continuare a raccontarci nelle sue molte diramazioni ed episodi.
Perchè il fatto di non essere riusciti a metterci d'accordo sul senso di questo racconto è una delle cose che per tutti questi anni hanno reso la nostra vita più difficile di quanto poteva essere – certo non la più importante, ma non la sottovaluterei. E la responsabilità di chi non ha raccontato onestamente e per tempo le ombre della morale e della politica dei partigiani ci sono, ma a me sembrano molto più grosse quelle di chi ancora ipocritamente non accetta che se un senso possibile c'è è quello della libertà, e non ammette che sulla libertà il fascismo ha pesato per tanto tempo come una pietra e qualche peso lo esercita ancora. Una delle responsabilità più gravi di chi non ha raccontato per tempo le ombre della resistenza per me sta proprio nell'aver con questo fornito argomenti alla sopravvivenza sotterranea del fascismo.
Dunque: continuare a raccontare, come tutte le storie hanno bisogno che si faccia, senza tacere niente, neanche le cose spiacevoli, con la fondamentale convinzione (che sta nei fatti, nella verità con la v minuscola) che potrà variare un poco l'angolo da cui le luci si proiettano sulle vicende e si potrà spostare un po' la linea delle ombre, ma la somma complessiva dei torti e delle ragioni non potrà cambiare se restiamo dentro il punto di vista della democrazia liberale, che è l'unico in cui possiamo metterci. Se partiamo da qui e premettiamo questo, poi possiamo discutere di tutto e magari anche capirci: non vedo altra base possibile per una storia condivisa se non condividere questa storia, andare in questa direzione. E quelli che hanno più strada da fare ho detto per me chi sono: è a loro che prima di tutto vanno chieste revisioni che li riportino dentro i termini dell'onestà intellettuale. Poi d'accordo che a tutti quelli a cui ne manca è sensato chiedere di averne di più.
Allora basta con le celebrazioni? Sì e no: il fatto che il registro da usare sia più quello del dramma e della tragedia che quello dell'epica non implica che non ci sia nessuno che va trattato da eroe: ci sono esempi di dignità su cui non ci deve piovere. Possiamo pure valutare le storie individuali e trovare anche tra i fascisti esempi di sincerità di ideali e di comportamenti disinteressati, ma il fatto che quegli ideali non li puoi condividere fa una certa differenza (2). E poi mi è capitato un paio di volte di scambiare qualche parola con ex repubblichini e di sentire le loro ragioni, ma queste ragioni non sono andate più in là del richiamo all'onore alla lealtà alla parola data, il che per me è decisamente poco. Se hai dato la parola a un mostro perchè poniamo non ti eri accorto di quanto mostro era, quando te ne accorgi poi ti devi spostare. Uno mi ha detto che era giovane e che non capiva e che quella era la sua giovinezza e ci pensa sempre con affetto, e fin qui (sperando che non mi raccontasse balle) ci arrivo tranquillamente: per esempio penso (spero) che se negli anni cinquanta fossi stato un fervente comunista rivendicherei di non aver fatto del male e di non aver usato violenza, ma riuscirei, forse con qualche esitazione, ad ammettere di aver dedicato me stesso a un errore e che avevano ragione quelli che avevano capito per tempo che il comunismo realizzato non era una possibilità. E ancora: al di là dei singoli, quale poteva essere storicamente la giustificazione per chi ha provato a mettere e tenere in piedi Salò? Una giustificazione, intendo, che regga dal solito punto di vista della democrazia liberale. Anche De Felice, che ha provato talmente tanto a capire il punto di vista del fascismo e di Mussolini da assumerlo con estrema facilità, dice che anche rispetto agli obiettivi dei fascisti la RSI è costata più di quello che ha ottenuto (3). E se si legge, per esempio, Carlo Mazzantini (4) non si trova quasi altro che sentimenti, ma un tentativo di analisi di dove si intendeva portare l'Italia, una prospettiva razionale di dove stava andando la storia, quello non c'è. Si trovano racconti di fascisti buoni e partigiani cattivi, che ci saranno anche stati, entrambi, ma non fanno la differenza rispetto agli Agosti, ai Bianco, ai Revelli, ai Pintor e ai tanti altri che per me restano e devono restare il punto di riferimento.
Quando poi qualcuno dice che per molti la scelta della Resistenza è stata opportunistica, faccio veramente fatica a capire: se io penso prima di tutto a salvarmi mi imbosco e aspetto gli americani, non vado a patire fame e freddo in montagna male vestito e male armato o a rischiare di essere arrestato dai tedeschi con dei volantini in tasca quando scendo dal tram in città; se cerco vantaggi immediati è chiaro che arruolarmi nell'esercito repubblichino me ne offre di più a fronte di rischi, almeno in apparenza, piuttosto remoti: come si fa a breve termine a mettere a paragone la convenienza di aiutare i tedeschi col pericolo di combatterli? Dire che nella Resistenza c'erano tanti che lo hanno fatto per calcolo mi sembra difficile da spiegare e da credere se consideriamo rischi e sofferenze che toccava affrontare subito. Dire che la Repubblica Sociale era nata per difendere l'onore (solita parola) dell'Italia e che non era un governo fantoccio nelle mani dei tedeschi, come ho visto fare in tv qualche anno fa dall'attore Giorgio Albertazzi, sottufficiale dell'esercito repubblichino, mi sembra una balla evidente se anche solo si considera che già dall'autunno del 1943 le province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine (Pordenone compresa), Trieste e Gorizia (più Pola, Fiume e Lubiana) erano state di fatto annesse al Reich tedesco con la creazione della Zona d'operazioni del Litorale adriatico (OZAK - Operationszone Adriatisches Küstenland) e della Zona d'operazioni delle Prealpi (OZAV - Operationszone Alpenvorland) sottoposte all'amministrazione dell'esercito occupante. A me pare evidente che, con tutti i limiti e le difficoltà, quelli che in quel momento difendevano l'Italia per dare a tutti una possibilità di futuro erano i partigiani.
Comunque intanto continuo a leggere e rileggere e ragionare. E fra le tante cose che leggo e rileggo e do da leggere a scuola ai fioi c'è questo (scaricare e leggere), un altro bellissimo racconto del dottor Piero Sanchetti che racconta la cattura e morte per mano dei tedeschi del suo amico Giovanni Girardini insieme a Bruno Tonello nel settembre del 1944. Il dottor Piero si tiene al di qua della maggior parte dei ragionamenti che ho provato a fare, sulla storia e sulla politica e sulle ideologie e sulla violenza, e lascia affiorare soprattutto una grande compassione dietro la quale tutto il resto un po' sbiadisce. Forse questa è la reazione più umana, quella che sarebbe più sensato avere se si riuscisse a vivere credendo che prima di tutto siamo sotto l'occhio di Dio che ci guarda. Ma noi, che di questa cosa ci dimentichiamo spesso, proviamo sempre ad andare oltre e a porre questioni che poi non sappiamo risolvere. Anche questo, però, è molto umano.
Un'ultima cosa: spesso mi chiedo, come credo che venga da fare a chi ci pensa, cosa avrei fatto in quei tempi, in quelle circostanze: che coraggio avrei avuto di dire e di fare e di mettermi da qualche parte. Non lo so, ovviamente. Spero che ne avrei avuto (5) abbastanza per dare una mano a quelli che stavano dalla parte migliore e che volevano fare le cose che a noi oggi sembrano fondamentali, la faccenda della libertà, in sostanza. E spero anche che sarei riuscito a non usare la forza, almeno non in modo ingiusto. Il dubbio rimane su tutto: spesso oggi penso che chi ha un atteggiamento radicale e si sdegna e protesta e si straccia le vesti è un esagerato incapace di comprendere la complessità del mondo e dei problemi e di prendersi le proprie responsabilità. Ma forse allora avrei saputo anch'io essere esagerato abbastanza. Voglio pensare che mi sarebbe risultata e mi risulterebbe chiara la differenza tra il mio (oggi) evitare la discussione con un avversario politico che non stimo senza però minimamente azzardarmi a toccarlo per fargli del male e il tentativo (ieri) di combattere in qualche modo (in qualsiasi modo) i tedeschi e i loro mitra e le loro stragi. Quanto poi a quanta violenza usare e a riuscire a non commettere ingiustizia usandola, l'abisso dei dubbi si spalanca ed è grande che non ne vedo il fondo.
A pochi giorni dalla morte di Giovanni Girardini, tra il 20 e il 27 settembre 1944, viene messa in atto a Bassano del Grappa una grossa operazione di rastrellamento che mette in fuga e costringe a disperdersi tutte le bande nascoste sulla montagna. Ci sono alcuni scontri, con qualche vittima, ma per lo più le bande sono male armate e in inferiorità numerica e si sganciano per salvarsi. Attivo nel rastrellamento in quei giorni è anche, tra gli altri, il sottufficiale Giorgio Albertazzi, che fa parte della Legione Tagliamento. Poi tedeschi e fascisti riescono a far arrendere molti partigiani promettendo loro che non avrebbero subito conseguenze troppo pesanti se si fossero arresi, ma quelli che si arrendono il più delle volte fanno una brutta fine: centinaia di morti tra impiccati e fucilati, circa altrettanti deportati. Il 26 settembre 31 partigiani vengono impiccati agli alberi di tre viali della città di Bassano: mettono loro al collo un cappio fatto con un cavo del telefono e li appendono grazie a un camion che spostandosi li solleva.
Speravo di riuscire a buttare giù tutta questa pigna per il 25 aprile scorso e fare una specie di piccola personale festa della liberazione, ma sono passati i mesi e ci riesco solo adesso, non riuscendo neanche a rispettare di preciso l'anniversario dei martiri di Bassano, che era tre giorni fa. Ma non ha importanza: basta riuscire prima o poi a leggere e mettere in circolazione le cose per chi altro voglia farlo. Del massacro di Bassano nel 2007 ha scritto Sonia Residori in questo altro libro che spero di procurarmi presto (un'intervista e la prefazione del libro le ho caricate qui se qualcuno che passa di qua le vuole). Sul rastrellamento del settembre 44 passa anche una cosa di Alberto Scapin, costruita a metà tra documentario e finzione, credo nel tentativo di renderla potabile per gente giovane che ne sa poco. E poi ho cominciato a leggere la tesi di Dario (al link ne trovate naturalmente solo un abstract).
Ma di roba in giro ce n'è parecchia, basta cercare libertà tra rupe e rupe, contro la schiavitù del suol tradito.

(1) Colgo l'occasione per spiegare uno dei tag sotto cui raggruppo i post, per esempio quelli di questo tipo: io sono certamente dell'idea che la storia siamo noi o che, nonostante tutto, quantomeno non possiamo non credere di esserlo in qualche misura. E' un po' l'imperativo categorico della collettività, la scommessa sulla libertà. Ma si sa appunto che in realtà alla fine lo sviluppo degli eventi prevede e implica parecchie porcherie, non meno porche per il fatto di essere complessivamente inevitabili. Allora bisogna ricordarsi che la scommessa sulla libertà non è leale se non ci ricordiamo che questo “complessivamente” non basta a giustificare neanche una sola delle singole porcherie che poi a posteriori in qualche modo la storia di chi è vivo giustifica in base al fatto che chi è morto è morto e tace. Prima che la porcheria si compia tu non puoi decidere di averne parte invocando a tua discolpa il fatto che poi complessivamente chi è vivo giustificherà. Insomma devi fare tutto il possibile: il solito Kant che gioca a tressette con madre Teresa. Poi tutto il possibile tu non sai qual era e quindi le porcherie scappano fuori e tu in parte ti giustifichi e in parte ti senti in colpa. Ma prima no, non puoi, non dovresti, devi meno che puoi. Allora il fatto che, come si diceva, nel complesso le porcherie inframmezzano allegramente gli eventi come il lardo negli spiedini, lo esprimo istituzionalizzando uno degli errori di battitura più frequenti e significativi: scrivendo la parola “storia” molto spesso mi viene fuori “stroia”. E' successo anche adesso, alla prima occorrenza del termine in questa nota. E' certamente meccanico e casuale, ma insieme non può non essere anche fatale e gettare simpaticamente un'ombra fosca sul nostro sguardo d'insieme su quello che quindi è appunto il puttanaio degli eventi e dei processi.
(2) Di come e quanto possiamo o non possiamo condividere gli ideali dei comunisti ho detto sopra e non ci torno.
(3) De Felice, Rosso e Nero, Baldini e Castoldi, Milano 1995, p.109-120
(4) Io in realtà ho letto solo A cercar la bella morte, Marsilio, Venezia 1995, al quale si riferisce il mio breve giudizio. Prima o poi magari mi procuro anche un paio degli altri (come I balilla andarono a Salò e L'ultimo repubblichino) che forse sono più espliciti e vedo se c'è un ragionamento storico-politico di respiro più ampio.
(5) Questa costruzione, il verbo sperare che regge un condizionale passato, mi sembra un ossimoro sintattico, ma mi pare l'unico modo corretto per esprimere il mio dubbio.

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