lunedì 14 aprile 2014

FISHING BEAR

Questo post è un commento a questo articolo di Mauro
Ciao Mauro. A me pare che se aspettiamo che l'istituzione dentro la quale ci tocca stare ci permetta realmente di girare la sedia per metterci in una prospettiva diversa e ci dia i cannoni multimediali nei quali sembri confidare (ma chi pensi che ce li dia?), facciamo in tempo a vederli scappare tutti, i fioi.
Intanto tocca combattere con le armi che si hanno a disposizione right now. Visto che a lasciarli nelle mani del mondo il risultato è la rovina quasi certa (mi pare che lo ammetti anche tu) io non vedo altra possibilità se non l'attivismo di cui da tempo sono prigioniero e, naturalmente, stanco. Dunque (come tantissimi altri) provo a combattere con loro tutte le volte che si può: sulle frasi che non sanno formulare e sulle nozioni che non ricordano e su quello che dicono e che fanno e che vedono e che (non) leggono. E intanto cerco di selezionare quello che viene da loro e di farmene qualcosa, prima di tutto, ma poi di usarlo anche per buttare degli ami: per esempio ho imparato (grazie a qualcuno) a vedere serie tv scaricandole dalla rete. Non solo ci sono cose veramente belle e geniali (certo, non tutte, niente affatto...) ma così ogni tanto ho qualcos'altro di cui parlare con loro per cercare almeno qualche volta di portarli sul mio terreno, di far passare John Rawls attaccandolo a Breaking Bad. Non so se ci riesco: spesso mi pare di no, a volte mi pare di sì.
E poi gli si corre dietro altrove, per esempio al rugby, come è noto. Sempre con in mente l'idea che, piuttosto che li rovini il mondo da solo, tanto vale provare a intervenire, con attenzione e cautela ma, se serve, anche in modo pesante. Sento la fatica e a volte mi sembra che non ci sia proporzione tra lo sforzo e i risultati, ma sono lontano dal perdere la fiducia: per esempio ieri sera ero a duecento metri da casa mia e a cento da casa tua a sentire quattro trentenni che raccontavano la loro startup: una che ha realizzato un software che fa vedere arte e architettura ai ciechi, due che progettano automazioni sofisticatissime per la riabilitazione fisica, specie degli arti inferiori, uno che cerca di sviluppare una tecnologia per differenziare la diagnosi dei tumori leggendo l'RNA. Quest'ultimo, per dire, è di Mansuè e a scuola era nella sezione parallela alla mia (anche se adesso abita appena più lontano e ieri sera si è presentato con una morosa che aveva la pancia piena ma non perchè aveva mangiato troppo). Tra quelli che hanno organizzato l'incontro ci sono alcuni che erano nella mia sezione e che sono tra le ragioni per cui mi pare di poter sperare di non aver sbagliato tutto.
Poi, siccome non basta, io, che la distinzione tra Kautsky e Bernstein devo ripassarla prima di sapertela dire, provo a inseguirli anche per cercare di evitare che mi lascino completamente solo anche a fare quel po' di politica che è possibile fare. Qui la cosa è molto difficile: ma non perchè ci sia il vuoto. Questi che organizzano gli incontri le idee le hanno pure, ma con la politica non si vogliono mescolare (e non è che non li capisca, piacerebbe anche a me fare come loro). Altri, tra cui ce n'è ancora qualcuno della mia sezione, di politica un po' ne fanno, a modo loro. Ma di darmi una mano non si sognano, quasi manco mi salutano, come se avessi io chissà che responsabilità per il fatto che il mondo è difficile e il nostro paese (quello grande come quello piccolo) per certi aspetti è una specie di buco nero della coscienza civile. Questi li capisco un po' meno: chissà che cosa ho fatto di male per essere lasciato solo così.
Dunque a me non sembra che l'ossessione della quantità sia poi così insuperabile: mi pare invece che una delle cose che funzionano di più è quando si rendono conto che tu di loro sai qualcosa, di loro personalmente, e quindi tra te e loro c'è almeno qualcosa di diretto e autentico. E non so bene quanto pesino nella difficoltà di ogni giorno i termini praticamente eterni della piccola guerra generazionale che scoppia tutti i giorni dove andiamo a lavorare noi, e quanto pesino invece le novità che, oltre alla società, rendono anche la loro coscienza liquida e inafferrabile ben più di quanto succedesse solo una decina di anni fa.
Tutto questo per dire che, se domani tu o qualcuno riuscite a progettare la scuola inclusiva che dici che ci vorrebbe (sono anche abbastanza d'accordo con l'idea...), io sarò felice di spenderci dentro gli ultimi anni del mio lavoro e cercherò di adattarmi a tutte le novità anche se sono vecchio. Ma aspetto da vent'anni passati che qualcuno riesca a stupirmi con l'efficacia eccezionale delle sue proposte didattiche e non ho avuto la fortuna di vedere nessun miracolo: solo, a volte, del lavoro fatto bene, magari anche molto, ma che non mi risolveva il problema. Tu mi dirai che io sto a vuotare il mare con un secchio e che invece ci vuole una diga grande e ben fatta. Forse hai ragione, e forse è solo che so bene che come ingegnere non varrei un cazzo e che l'unica cosa che so fare è stare con le zampe in acqua a cercare di pescare come un orso nel torrente. E che magari è per questo che i pesci scappano: perchè è naturale che a loro faccio paura e quindi non si fidano. Ma non vedo alternative, anche se mi son guardato bene intorno mille volte. Chi le vede sul serio (e speriamo abbia occhi), per piacere mi spieghi come si fa, provi a convincermi, così do una mano come posso, se ancora a qualcosa servo. Ma presto.

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