giovedì 9 gennaio 2014

ANCHE AL DI LA' DEL DOLORE C'È SEMPRE QUALCOSA DI SCONOSCIUTO (luoghi comuni)

Ci sono romanzi (canzoni film eccetera) dai quali si resta commossi ma che insieme suscitano diffidenza. È perche si trovano precisamente sul confine tra il cuore della vera saggezza e l'inconsistenza della totale ovvietà.
Succede quando si incontra qualcuno che ci parla di cose assolutamente primarie, tipo il desiderio di giustizia e la differenza tra il bene e il male oppure la pienezza straordinaria dell'amore che c'è e la nostalgia invincibile dell'amore che non c'è, oppure la tristezza del tempo che passa e che non torna.
Si è diffidenti perchè il fatto di aver studiato e riflettuto un po' ci ha abituato a pensare che la vera profondità non può essere troppo facile, non può essere lì, una cosa che chiunque ci può arrivare, basta allungare la mano. Ma si sa anche che a volte succede proprio questo miracolo, che qualcuno indovina il punto esatto in cui, incredibilmente, risulta facile entrare e toccare il fondo delle cose e si riescono a dire cose meravigliosamente trasparenti e durature anche se il materiale che si usa sembra roba normale, di poco pregio, usata e magari abbastanza consunta.
Questo sarebbe quello che riesce a fare la poesia. La quale però, appunto, di solito si raggiunge almeno con quel po' di fatica che richiede una camminata fino in cima a qualche bel posto. Se invece tutto viene e si capisce subito, allora ci si chiede se è vero quello che si sente o se per caso stavolta non ci si è lasciati fregare dai trucchetti di qualche venditore scaltro. A volte quello che ci emoziona è un luogo comune tanto da sembrarci troppo frequentato: tanto da farci domandare se va davvero bene che ci fermiamo e lasciamo che ci batta il cuore.
Penso sempre queste cose per esempio quando vedo Casablanca (Casablanca, Michael Curtiz, USA 1942) - la scena della Marsigliese o il famoso dialogo finale tra Bogart e la Bergman - oppure nel Sergente York (Sergeant York, Howard Hawks, USA 1941) – cose come il dialogo sulla fede con il pastore e la successiva conversione, subito dopo che York, è stato [!] colpito da un fulmine, come San Paolo). Oppure quando ascolto Que reste-t-il de nos amours (1).
Mi è successa un po' la stessa cosa leggendo (ascoltando) Il Conte di Montecristo: da un lato un senso assolutamente ingenuo del bene e del male e della giustizia divina, dall'altro l'idea dell'avventura e dell'intrigo spinta all'estremo ma in modo un po' grossolano, con poca sottigliezza, facendo a volte un su e su: quanto basta per riuscire ad arrivare a scrivere quasi milletrecento pagine, in un'orgia di inganni, misteri, tradimenti, amori e dolori, tra inverosimiglianze assolute e solido buon senso. In mezzo a tutto questo qualche lampo che appunto non si sa se sia abissale o inutile, come quello che dà il titolo a questo post e che si trova nel brano qui sotto. Brano in cui il conte convince a desistere dal suicidio il giovane Maximilien Morrel, che vuole uccidersi credendo di aver perso l'amore della sua vita, Valentine, in realtà sopravvissuta grazie a uno dei diabolici inganni del quasi onnisciente e onnipotente Montecristo. Mi sono trovato davanti queste cose che nella sostanza so di aver pensato spesso, ma delle quali so anche di avere sempre un po' dubitato. E naturalmente non è che con questo la domanda alla fine abbia ricevuto una risposta.

«Amico – disse Montecristo con una malinconia uguale alla sua, – ascoltatemi:
«Un giorno, in un momento di disperazione uguale al tuo, perché comportava una simile decisione, volli uccidermi come te; anche tuo padre un giorno, ugualmente disperato, volle uccidersi.
«Se qualcuno avesse detto a tuo padre, mentre si puntava la canna della pistola alla fronte; se qualcuno avesse detto a me, quando allontanavo dal mio giaciglio il pane del carcerato che non toccavo da tre giorni; insomma, se qualcuno, in quei momenti supremi, avesse detto a entrambi:
«“Vivete! verrà un giorno in cui sarete felici e benedirete la vita”; da qualunque parte venisse quella voce, l’avremmo accolta con il sorriso del dubbio o con l’angoscia dell’incredulità, eppure, quante volte tuo padre, abbracciandoti, ha benedetto la vita, quante volte io stesso…»
«Ah! – gridò Morrel interrompendo il conte, – voi non avete perduto che la vostra libertà, e mio padre non ha perduto che i suoi beni; ma io, ho perduto Valentine».
«Guardami, Morrel – disse Montecristo con quella solennità che in certe occasioni lo rendeva così grande e persuasivo, – guardami: non ho lacrime negli occhi, né febbre nelle vene, né palpiti di disperazione nel cuore; eppure ti vedo soffrire, te, Maximilien, te che amo come amerei un figlio; ebbene, questo non ti dice, Morrel, che il dolore è come la vita, e anche al di là del dolore c’è sempre qualcosa di sconosciuto? Ora, se ti prego, se ti ordino di vivere, Morrel, è perché sono convinto che un giorno mi ringrazierai per averti conservato la vita».
«Mio Dio! – gridò il giovane, – mio Dio! che mi dite, conte? Badate! forse non avete mai amato, voi!»
«Bambino!...» rispose il conte.
«D’amore – riprese Morrel, – io me ne intendo.
«Io, vedete, sono un soldato da quando sono un uomo; sono arrivato ai miei ventinove anni senza amare, perché nessuno dei sentimenti che ho provato fino ad allora merita il nome di amore; ebbene, a ventinove anni ho visto Valentine: dunque la amo da circa due anni; da circa due anni ho potuto leggere le virtù della figlia e della donna scritte dalla mano del Signore nel suo cuore aperto per me come un libro.
«Conte, con Valentine provavo una felicità infinita, immensa, sconosciuta, una felicità troppo grande, troppo completa, troppo divina per questo mondo; poiché questo mondo non me l’ha concessa, conte, significa che senza Valentine per me sulla terra non c’è altro che disperazione e desolazione».
«Vi ho detto di sperare, Morrel» ripeté il conte.
«E allora fate attenzione, ripeterò anch’io – disse Morrel, – perché voi cercate di persuadermi, e se mi persuaderete, mi farete perdere la ragione, facendomi credere che posso rivedere Valentine».
Il conte sorrise.
«Amico mio, padre mio! – gridò Morrel esaltandosi, – state attento a ciò che dite, ve lo ripeto per la terza volta, perché l’ascendente che avete su di me mi spaventa; badate al senso delle vostre parole, perché ecco che i miei occhi già si rianimano, il mio cuore si riaccende e rinasce; state attento, perché mi farete credere a cose soprannaturali.
«Vi obbedirei se mi ordinaste di togliere la pietra del sepolcro di Giairo, camminerei sulle acque come l’apostolo, se mi faceste segno di camminare sulle acque; badate, obbedirei».
«Spera, amico mio» ripeté il conte.
«Ah! – disse Morrel ricadendo dall’altezza della sua esaltazione nell’abisso della sua tristezza, – ah! vi prendete gioco di me: fate come quelle buone madri, o piuttosto come quelle madri egoiste, che placano con parole melliflue il dolore del bambino, perché sono stanche delle sue grida.
«No, amico mio, avevo torto di dirvi di fare attenzione, no, non temete, seppellirò il mio dolore con tanta cura nel profondo del mio cuore, lo renderò talmente segreto che non dovrete neppure prendervi il disturbo di compatirmi.
«Addio, amico mio, addio!»
«Al contrario – disse il conte; – da questo momento, Maximilien, tu vivrai accanto a me e con me, non mi lascerai più, e tra otto giorni ci saremo lasciati la Francia alle spalle».
«E mi dite ancora di sperare?»
«Ti dico di sperare, perché so in quale modo guarirti».
«Conte, voi mi rendete ancora più triste, se è possibile. Voi credete che la sciagura che mi ha colpito mi procuri un banale sconforto, e vi sembra di potermi consolare in un modo banale, con un viaggio».
E Morrel scosse la testa con sdegnosa incredulità.
«Che vuoi che ti dica? – riprese Montecristo.
«Ho fiducia nelle mie promesse, lasciami provare».
«Conte, voi prolungate la mia agonia, ecco tutto».
«Così – disse il conte, – debole cuore che sei, non hai la forza di concedere al tuo amico qualche giorno per la prova che vuole tentare!
«Su, lo sai tu di cosa è capace il conte di Montecristo?
«Lo sai che comanda a molte potenze terrestri?
«Lo sai che ha abbastanza fede in Dio da ottenere dei miracoli da colui che ha detto che con la fede l’uomo poteva sollevare una montagna?
«Ebbene, il miracolo in cui spero, attendilo, oppure…»
«Oppure…» ripeté Morrel.
«Oppure, attento a te, Morrel: ti chiamerò ingrato».
«Abbiate pietà di me, conte».
«Ho talmente pietà di te, Maximilien, ascoltami, ho talmente pietà di te che se non guarisci entro un mese, stesso giorno, stessa ora, ricorda bene le mie parole, Morrel, io stesso ti metterò davanti queste pistole cariche e una coppa del veleno più sicuro d’Italia, di un veleno più infallibile e più veloce, credimi, di quello che ha ucciso Valentine».
«Me lo promettete?»
«Sì, perché sono un uomo, perché anch’io, come ti ho detto, ho voluto morire, e spesso, dopo che il dolore si era allontanato da me, ho sognato le delizie del sonno eterno».
«Oh, sì, me lo promettete, conte?» gridò Maximilien inebriato.
«Non te lo prometto, te lo giuro» disse Montecristo tendendo la mano.
«Tra un mese, sul vostro onore, se non sarò consolato mi lascerete libero di fare ciò che vorrò della mia vita, e qualsiasi cosa ne farò, non mi chiamerete ingrato?»
«Tra un mese, stesso giorno, Maximilien; tra un mese, stessa ora, e la data è sacra, Maximilien: non so se ci hai pensato, oggi è il 5 settembre.
«Oggi sono nove anni che ho salvato tuo padre, che voleva morire».
Morrel afferrò le mani del conte e le baciò; il conte lo lasciò fare, come se comprendesse che quell’adorazione gli era dovuta.
«Tra un mese – continuò Montecristo, – avrai, sul tavolo al quale saremo seduti sia tu che io, delle buone armi e una dolce morte; ma in cambio mi prometti di aspettare fino ad allora, e di vivere?»
«Oh! ve lo giuro a mia volta» esclamò Morrel.
Montecristo strinse a sé il giovane in un lungo abbraccio.
«E ora – gli disse, – a partire da oggi, tu vieni ad abitare con me; prenderai l’appartamento di Haydée, e mia figlia almeno sarà sostituita da mio figlio».
«Haydée! – disse Morrel; – che ne è di Haydée?»
«È partita stanotte».
«Per lasciarvi?»
«Per aspettarmi… Preparati a raggiungermi agli Champs-Élysées, e fammi uscire di qui senza che mi vedano».
Maximilien abbassò la testa, e obbedì come un bambino o come un apostolo.
(Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo, Garzanti, Milano 2011, cap CV, p.1153-56)

(1) Devo confessare di sapere che questa canzone è storicamente una delle preferite di Berlusconi, che amava cantarla quando da giovane faceva l'intrattenitore sulle navi da crociera. Del resto, posso prendere questo fatto come un'altra conferma del rischio che si corre a farsi piacere certe cose...

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