sabato 9 novembre 2013

IL TESTAMENTO DELLA MAESTRA EGLE

La maestra Egle se n'è andata. Solo da grande ho considerato la stranezza del suo nome così poco comune e mi sono chiesto da dove venisse e come gliel'avessero dato.
Per me il suo nome era naturalmente suo così come lei era inevitabilmente lei, come se fosse sempre esistita: un fatto della natura, come la maestra Pia di Meneghello, come i genitori e i nonni per il bambino che li ama. La maestra Egle era un elemento del paesaggio interiore, un albero alto vicino a casa o una curva del terreno sulla strada per arrivarci, una realtà indiscutibile che non richiedeva spiegazione e i cui comportamenti non era concepibile che potessero essere diversi da com'erano, perchè erano sempre come dovevano essere, tanto da rendere impensabile la possibilità di porsi il problema: il tipo di presenza che ispira quella fiducia cieca di cui i bambini hanno bisogno.
La casa in cui abito è stata costruita dai miei insieme a un'altra decina di famiglie che più o meno si conoscevano bene o erano in amicizia e tutte insieme avevano costituito una cooperativa edilizia, come a quel tempo era realisticamente possibile fare. Tra queste famiglie c'era la maestra Egle con suo marito. Così quando era la mia maestra abitava giusto sopra di me, qui, a cento metri dalla scuola. Così era un pezzo della mia vita probabilmente un po' più che per i miei compagni di classe: la incontravo sulle scale, a volte la sentivo camminare, a volte tornavo a casa con lei.
Rivederla un paio d'anni fa, quando i compagni delle elementari hanno organizzato la cena di classe, è stato bello e commovente ma anche naturale e semplice. Invecchiata ma cambiata pochissimo, parlava spesso con il tono un po' pensoso di chi ha a cuore le cose. Quella sera ho pensato che non ricordavo di aver mai sentito da lei una parola che non fosse gentile. Quella sera ho riesaminato rapidamente gli anni e ho cercato di ricordare, ma mi è sembrato di non trovare nella memoria tracce di un momento di collera o di una parola più pesante di quelle, sempre cariche di affetto, che ci rivolgeva.

Prima di andarsene la maestra Egle ha preparato tutto, se ho capito bene.
Nei tanti anni in cui non l'ho quasi più vista e ne ho avuto soltanto notizie, più o meno regolari ma altrettanto superficiali, non è capitato che un rapporto personale si mantenesse (o si costruisse). Sarebbe anche stato possibile, forse, ma non è capitato. Così solo alla fine ho avuto modo di accorgermi almeno un po' di quanto fosse consapevole, di quanto la sua intelligenza di donna si fosse trasformata in quella specie di saggezza che possiede chi pesa le cose con sicurezza e non lascia spazio, nella propria vita, neanche a un briciolo di vanità. Questa invece è l'impressione che ho avuto sentendo di come negli ultimi anni avesse riempito quaderni su quaderni di pensieri, con la sua scrittura regolare che, ho potuto vedere, era diventata solo un po' incerta, facendo girare i propri ragionamenti intorno a quello che aveva vissuto e visto. Questa l'impressione che ho avuto sentendo che aveva passato il tempo che la avvicinava alla fine con la stessa calma responsabile con cui ci tranquillizzava in classe, che aveva deciso tutto personalmente per la messa del funerale, che aveva scritto ai nipoti una breve lettera. Che è questa:

PARTENZA (ai miei nipoti A., F. e C.)
Vorrei andarmene così: sottovoce, delicatamente, con la stessa silenziosità di una foglia che, smossa dal vento d’autunno, si stacca dai rami dell’albero. Con la leggerezza di un fiocco di neve che, volteggiando, cade dal cielo, si posa a terra, si scioglie.
Ora una brezza dolce mi spinge dove ho sempre desiderato giungere, dove mi attendono tante persone care. Porto con me le fatiche di una vita vissuta lavorando per gli altri, di corse in bicicletta, di compiti corretti, di registri compilati, di assistenze, di pianti, di dolori simili a lacerazioni.
Con me vola via un piccolo mondo antico fatto di affetti, di voci, di paure e di speranze, di preghiere e di suppliche, di tanti fogli scritti, pieni di ritratti di famiglia, di incontri, di ricordi che non mi stancavo di raccontare come fotografie stampate in bianco e nero.
Vorrei che la mia voce, i miei silenzi, i miei rimproveri, la mia mania dell’ordine rimanessero vivi nella vostra giovane vita, impressi come un marchio, a dirvi sempre che sono esistita lasciandovi qualcosa.
Vorrei che l’immagine di questa Nonna forte nello spirito, generosa nel dare amore, paziente nell’accettare gli altri, non scolorisse nel tempo, ma mantenesse, intensi, i colori della sua esistenza.
Un tenero saluto a voi che lascio ma non abbandono. Tenetemi nel cuore.
Nonna Egle

Quando si dice dell'importanza di andarsene bene, di mostrare coraggio per fare coraggio o almeno per fare che chi resta non lo perda. Eppure di questi tempi quanto sembra inafferrabile la speranza, quanto è più difficile il coraggio. Non posso che ringraziare la maestra Egle per il suo tentativo nobile quanto sincero, ma oggi (un oggi esteso, naturalmente) pare uno di quei giorni in cui si sente che il caos ci sta per sommergere e che tutto è inutile perchè non sappiamo più accettare e mandar giù, e vorremmo avere quello che vogliamo invece di consumare tutta la vita alimentando la pazienza e restando al nostro posto, come ha fatto la Egle e come forse solo una fede di legno stagionato come la sua riuscirebbe a farci stare. Così nutriamo dubbi (perchè i dubbi mangiano...): sul perchè dovremmo lasciare tutte le tracce che lasciamo, sulla consistenza e funzione della memoria, sull'amore, su tutto il resto.
L'unica cosa che una volta ho pensato per il mio funerale è che mi piacerebbe che in chiesa fosse possibile che una donna con una bella voce cantasse per me che non ci sono questa canzone. E sono sicuro sia che non sarebbe facile realizzare questo desiderio piccolo ma sempre troppo complicato per tutto il dolore che comunque si provoca morendo, sia che, anche se qualcuno lo realizzasse per me, non servirebbe a niente, non avrebbe neanche quel poco di utilità che ha la lettera della Egle. E poi di certo qualcuno si chiederebbe:“E che cazzo c'entra la bandiera genovese?”. Niente, appunto.

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