domenica 2 giugno 2013

JAURÈS

Pourquoi crois-tu, la belle, que le marins au port
vident leurs escarcelles pour offrir des trésors 
à des fausses princesses? Pour un peu de tendresse.
(Jacques Brel, La tendresse)
    
Avevo due-tre lp in vinile di Brel, da ragazzo. Ho ascoltato fino alla scarnificazione Ne me quitte pas, canzone considerata universalmente uno dei massimi concentrati di sfiga cosmica, che ancora so a memoria (en français, ouais, e in italiano nella versione di Gino Paoli), e altre cose allegre da chansonnier, come Il peut pleuvoir oppure Quand on n'a que l'amour.
Mi piacciono molto gli chansonnier francesi e le loro canzonette stupide e eterne. Per esempio ho ascoltato molto Charles Trenet che è una specie di Domenico Modugno francese, più o meno un padre della patria laggiù. Ma di Brel ho ascoltato moltissimo anche Marieke (Ahi, Marieke, Marieke, je t'aimais tant entre le tour de Bruges à Gand...), perchè al tempo avevo un primo amore che abitava un po' lontano e l'andavo a trovare in bicicletta. E pedalando mi sentivo eroico e mi sembrava tanto di essere come Jacques che andava a trovare la sua Marieke fiamminga da Bruges a Gand, anche se quelli sono, mi pare, circa 45 km - mentre io non ne facevo più di 25 - e anche se non capivo i versi in fiammingo, che cercavo comunque di canticchiare masticandoli in modo maldestro.
Brel in realtà era tutt'altro che un frullatore di piccoli sentimenti di largo consumo: era uno attento e vigile, che si guardava attorno e ragionava su tante faccende umane e di costume, fino al limite della politica. Brel era del '29 ed era belga. Aveva sempre considerato la Francia come casa sua e polemizzato molto con il Belgio, soprattutto quello del nazionalismo fiammingo che considerava paranazista, pur avendo dedicato al Belgio quella bellissima canzone che è Le plat pays
Alla fine se ne era andato dalla Francia e dal mondo nel 1973, trasferendosi nella Polinesia francese, dove era rimasto fino al '77, quando era tornato a Parigi per incidere l'ultimo disco e per muorire di un brutto male a soli 49, nel 1978, quando io avevo 15. In Polinesia ci è tornato da morto, per farsi seppellire nello stesso cimitero di Gauguin. Ho ascoltato molto anche quell’ultimo disco. Tra le tante belle cose che ci sono dentro c'è Jaurès, di cui non sapevo bene di cosa parlava, a parte il fatto che sembrava una specie di prosa poetica piena di tristezza. Ho imparato molto più tardi (dopo essere anche stato in gita a Parigi con la scuola dormendo in un albergo che si trovava in via Jean Jaurès) che Jaurès era uno dei leader del Partito Socialista in Francia tra fine '800 e primi '900, che era entrato all'Ecole Normale Supérieure con voti più alti di quelli di Bergson (questo l'ho letto ieri su Wiki), che in economia era fautore di un sistema "misto", perchè pensava che col tempo e il progresso sarebbe stato facile introdurre nel sistema di mercato forme spontanee di collettivismo, e che alla fine era stato ucciso nel '14 da uno studente nazionalista per la sua opposizione alla guerra. La canzone è una specie di meditazione dolorosa sulla disumanità della vita della povera gente per la quale Jaurès combatteva: è possibile rendersene conto leggendo il testo, (del quale ho trovato anche una versione bretone assolutamente pazzesca). 
Perchè mi è tornato in mente Jaurès? Perchè Jaurès era di Castres, città oggi di circa 45 mila abitanti che si trova nel Midi-Pyrenèes a una settantina di km da Tolosa, la cui squadra di Rugby ha vinto ieri sera il campionato francese, per la quarta volta nella sua storia, a vent'anni dall'ultima affermazione del '93. Così sono andato su Wiki a vedere che posto era e ho trovato la foto della statua di Jaurès nella piazza principale, intitolata a lui, e quella dell'umile casetta in cui è nato. Ma con questa storia sono anche tornato ad ascoltare qualche canzone di Brel, alcune delle quali non le conoscevo. Tra di esse questa: La tendresse, che mi ha commosso profondamente. 

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