giovedì 3 gennaio 2013

BEING SQUARE


P.S. Nella mia copia di La vita istruzioni per l'uso (prima edizione BUR, 1989, 15.000 lire), dopo qualche anno che non la prendevo in mano, ho trovato tre cose.
La prima è una cartolina, evidentemente usata come segnalibro, credo in occasione della seconda lettura. Era il 2007, la cartolina è stata comprata a Ferrara durante una gita in primavera, ho controllato, mi sembra di ricordare la classe e la situazione. C'era una mostra a Palazzo dei Diamanti: Il Simbolismo da Moreau a Gauguin a Klimt (18/2-20/5 2007). Mi ricordo di aver visto delle cose interessanti anche se poi qualche collega mi ha fatto riflettere su come l'idea e l'allestimento fossero discutibili. Mi ricordo di aver comprato tre cartoline, la seconda era un Munch che si intitolava tipo “Sul ponte”, la terza non mi ricordo. Quella che c'è nel libro è una Conversazione di Gauguin del 1899 con un giovane tahitiano di spalle, non si vede il viso, e due donne ai lati. Di fronte ai tre c'è un orizzonte giallo con nuvole grigie e una (forse) fronda verde in alto. La donna a destra porta una specie di pareo che la copre fino alla vita, ma sopra è nuda, anche se tiene in mano dei fiori e le braccia coprono quasi del tutto le tette. Guarda verso il giovane la cui testa però è rivolta a sinistra, verso l'altra donna, che porta un vestito rosso che le lascia completamente scoperta una spalla. La mano sinistra è alzata e tiene un frutto verde e lo sguardo è decisamente, come si direbbe al cinema, in macchina, rivolto verso chi guarda il quadro. La grande superficie scura della schiena nuda del giovane ingombra il centro del quadro, ma l'occhio segue e cerca quasi di intercettare gli sguardi incrociati delle due donne. L'impressione è che la passione e i suoi misteri possano anche non risultare devastanti in un mondo in cui tutto accade senza essere forzato e anche la sofferenza e la gioia sono naturali come i fenomeni meteorologici.
La seconda cosa sono due ritagli di quaderno a quadretti. Il primo è fatto di altri due ritagli tenuti insieme con lo scotch a formare una specie di striscia poi piegata in tre a fisarmonica. Lo scotch è vecchio e secco, si sta staccando dalla carta ingiallita. E' lo schema di un lavoro a maglia, forse un maglione, risalente evidentemente al tempo in cui L. ha letto il libro e faceva questo tipo di cose. La striscia di carta è piena di crocette e puntini che formano aree omogenee ma anche rombi e altre decorazioni, come per esempio una di quelle fasce ritorte che hanno un nome che adesso non mi viene in mente. L'altro foglio riporta dati relativi al lavoro, alternanze di dritti e rovesci, tipo: 2d. 2r. 4d. 2r. 6d. 9r. 6d. 9r. 1d., con al massimo varianti tipo: (passa 2 dietro, 2dr.).
La terza è una verifica di latino mia, che risale, credo, ai primi mesi della quarta ginnasio. Si chiamavano esercitazioni ed erano una specie di simulazione prima del compito vero e proprio: potrebbe essere addirittura la mia prima traduzione di latino in classe delle scuole superiori. Forse l'ho tenuta per questo. E' un foglietto piegato in due di quaderno ad anelli di formato piccolo, quello dei quaderni di appunti che usavo all'epoca. La prova consisteva in una versione dal latino più due frasi dall'italiano. La versione si initola Coraggiosa franchezza di una vecchia siracusana e sarà un adattamento da non so chi. Parla del solito bieco tiranno Dionigi di Siracusa che, informato che una vecchia prega per lui tutti i giorni e sapendo di essere generalmente molto odiato per la propria crudeltà, la fa chiamare e viene a sapere che in realtà la vecchia teme solo che alla sua (del tiranno) morte gli succeda qualcuno di ancora più pestifero, visto che ogni successore è stato peggio del predecessore e lui è il più cane di tutti. La vecchia è spiritosa ma si limita a salvare la pelle, senza (pare) riuscire a convertire il tiranno, che immaginiamo in seguito ancora dedito a efferatezze assortite. La versione è andata bene: è segnato a matita che ho consegnato alle 10.35, quindi suppongo di aver fatto tutto (frasi dall'italiano comprese) in un'ora e mezza circa. Ci sono solo due mezzi errori (segno rosso e blu: un miror tradotto con ammirare anziché con meravigliarsi e un quando al posto di un dopo che) e qualche imprecisione nella resa (segno rosso più o meno leggero). Il giudizio, in blu, è un Bene!. Le frasi dall'italiano invece le avevo sbagliate tutte e due, infatti il giudizio è Insuff (in rosso). Nella prima un banale errore di morfologia: bellis civilis invece di civilibus; nella seconda invece sono evidentemente caduto nel trabocchetto ovviamente predisposto: ho usato la costruzione dell'ablativo assoluto (hortatis suis) in una frase in cui il soggetto della reggente e quello della subordinata coincidono e il verbo è un deponente transitivo, situazione che quindi richiedeva la costruzione con cum e il congiuntivo (cum suos hortatus esset). Roba da vero principiante quale ero.
I segni rossi e blu sono del prof. Enrico Vendramin, da Paese, mio insegnante di Italiano Latino Greco Storia, Geografia, quasi un maestro unico, come ai tempi accadeva, in quarta e quinta ginnasio. Vicino alla valutazione c'è anche una specie di monogramma circolare che fatico a ricondurre a EV, le iniziali del prof.
Il prof. Vendramin ha fatto certamente un buon lavoro, per l'epoca. A me piaceva molto perchè aveva una gran passione per la grammatica e la traduzione che piacevano anche a me e nelle quali andavo bene. Le mie compagne, quasi tutte tose, come succede al classico, sostenevano che per questo lui aveva un occhio di riguardo per me, ma a parte 'sta cosa credo che tutti gli riconoscano di aver fatto un buon lavoro. Ricordo bene che diverse di loro si lamentavano un po' per l'impostazione secondo loro troppo tradizionale, per il fatto che si teneva accuratamente lontano dai rischi dell'attualità. Dicevano che era un po' troppo inquadrato, a loro pareva noiosamente democristiano, perchè sembrava preoccupato di fronte a qualsiasi opinione un po' eterodossa e nelle scelte didattiche restava molto ancorato a un orientamento classico. Io vedevo anche un po' queste cose, ma non mi pareva un grosso problema, forse perchè a me piaceva tanto tradurre e lo facevamo parecchio. Magari era un po' vero, forse avremmo potuto avere qualche stimolo in più, noi che stavamo in provincia ed eravamo così lontani dalle correnti sicuramente intense e magari pericolose che attraversavano quegli anni (siamo nel '77, un anno prima del sequestro di Moro, mi ricordo l'assemblea...). Forse il prof. Vendramin intendeva la formazione classica un po' anche come protezione dal presente e dalla sua violenza, fiducioso nel valore, come appunto si dice sempre, universale della classicità. Ma è un'ipotesi. Non so se la pensava davvero così e, in caso, non saprei dargli del tutto torto. Io in un certo senso cerco di fare lo stesso, anche se poi cerco di tener conto anche dell'urgenza di cose e della voglia di presente che ha uno di 16-18 anni e perlomeno cerco di attaccarmi a quello che succede in giro tutte le volte che ce n'è un'occasione utile, dove per utile intendo: che mi permetta poi di tornare alle cose da studiare con un dubbio una curiosità una domanda in più. In ogni caso dico grazie davvero al prof. Vendramin, per merito del quale (prima che di altri) ho cominciato a imparare quanto sia importante, appassionante e sostanzialmente umana questa cosa di tenere insieme il discorso, di articolare le parole soppesandole una a una con precisione e, in questo modo, di ricostruire (disfare e rifare) il mondo. Grazie prof. (e grazie ancora, Georges).

4 commenti:

  1. Come CAZZO fai a ricordarti quelle robe del latino, feega

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  2. Mah, studiato tanto, fatto tante ripetizioni... Nonsò. Quando la prof. C.S. mi manda in classe sua a fare supplenza di latino tengo ancora botta.

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