venerdì 2 novembre 2012

GIOVANI E BELLI (un giorno dopo l'altro 1)

Ho incontrato N.L. dal casolin. Il casolin quello cavà su, quello che ha le cose particolari e raffinate, che costano abbastanza. Era tipo l'anno scorso, sotto Natale: N.L. è a casa in ferie, mi spiega salutandomi, perché da un po' vive e lavora in una grande città. Vive con la morosa, che è là con lui: ragazza piccola, carina e occhialuta, con l'aria sveglia e vitale. In questi casi io domando senza troppi scrupoli: non per farmi i fatti degli altri, ma per avere un'idea di cosa succede e magari trasmetterla ai fioi a scuola.   (qui: Un giorno dopo l'altro)
N.L. ha una laurea in economia e lavora per un'impresa che si occupa di trasporti internazionali per ferrovia: persone, più che merci: vagoni letto e simili, mi pare, anche se non ricordo con precisione le spiegazioni. Tipo lui programma la composizione dei convogli in base a regioni periodi flussi eccetera: roba di logistica, insomma. Quanto basta per capire che N. sta dentro quei settori che muovono risorse, che possono aumentare la ricchezza di cui disponiamo, che stanno dentro il tessuto produttivo che in sostanza consideriamo “vero”, a ragione o a torto, magari a prescindere dal fatto che poi sia capace davvero di migliorarci la vita. Anche la morosa è laureata e lavora, non ricordo in quale altra fibra dello stesso tessuto, vitale e pulsante.
Ebbene, loro due, giovani e belli, intelligenti e attivi, rotelle ben oliate e funzionanti dentro il grande congegno, devono subaffittare la seconda stanza da letto del già piccolo appartamento in cui vivono nella grande città, perché altrimenti non ce la fanno: i due stipendi insieme non bastano, mi pare di capire che sono significativamente più bassi del mio (che naturalmente non è un gran che...) in un posto in cui la vita costa ovviamente molto di più. Sempre nientissimo di nuovo, ma qui si tocca con mano come stanno le cose di questi tempi per ragazzi di trent'anni circa, come loro: qualificati, bravi e poveri. Nel senso che non ne hanno abbastanza neanche per (volendo) sposarsi, mettere in programma un paio di figli, vivere senza troppe preoccupazioni immediate e con un po' di prospettiva.
Evidentemente essere bravi non basta. N.L. lo è, credo: per quello che mi ricordo non stento a crederlo e quello che mi racconta pare darmi conferma: dice che sta per cambiare lavoro, lo vuole la concorrenza ed è sul punto di accettare e andare via. Dice che gli dispiace, che gli piaceva stare dov'era, ma ha parlato ai suoi capi e loro lo hanno pregato di restare, ma pregato e basta, così. Di là gli danno qualcosa di più, non molto ma qualcosa. E poi servono altre persone e vogliono che si porti dietro qualcuno dei suoi, quelli che lavorano con lui. E lui lo farà, lo ha chiesto e loro ci stanno. Lo ha fatto presente ai suoi capi, ma loro più che manifestare rincrescimento non fanno: non possono aumentargli lo stipendio, dicono.
Non so bene di che fenomeno si tratti: potrebbe sembrare uno dei tanti movimenti che in tempo di crisi avvengono nel mercato del lavoro: vai dove ti pagano di più, ma visto che c'è poco margine spunti poco di più rispetto a prima. E se è così c'è una certa miopia strategica da parte della prima impresa, quella che lascia andare pur di non pagare, rispetto all'altra che è più capace di far conto del capitale umano. Ma potrebbe anche essere una logica diversa, che io naturalmente stento a capire e/o non condivido: una logica per cui questa scelta di lasciar andare gente brava pur di non spendere di più nell'immediato è il risultato di un calcolo che alla fine funziona. Spero di no, spero che chi è capace di capire il valore (anche il valore in primo luogo economico) di un'intelligenza, della capacità di lavorare di un uomo, una donna, ed è capace di avere per questo (anche solo per questo) attenzione alla persona che c'è sotto (intorno, dietro, davanti) sia destinato a sopravvivere più facilmente, a resistere. Magari anche ad avere qualche genere di successo, ma di questi tempi sopravvivere è già importante. Questo è quello che spero. 
Quello che temo è che la natura del lavoro si sia talmente modificata, nel nostro piccolissimo mondo (quello grande che è diventato piccolo), da rendere tutti sostituibili, anche la gente preparata e che deve affrontare problemi complessi, con la stessa facilità con cui una volta si sostituiva un operaio non specializzato. E in questo caso non ci sarebbe nessun rimedio a questa tendenza a fare di ragazzi giovani e belli delle pure pedine senza nessun rilievo in un gioco che le usa e basta. Ma il caso di N.L. è uno di quelli nei quali, col tempo, ho avuto modo di vedere, almeno in parte, cosa è stato. E se ripenso a cos'era N.L., vedo che la corrispondenza tra il prima e il poi è sostanziale. Con un elemento in più, non essenziale a questo discorso, ma curioso... (continua)

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