domenica 14 ottobre 2012

VIGLIACCO? EH... (età mentale 2)

Ma gli studenti che sono più grandi della loro età non sono sempre una benedizione. Soprattutto se una parte importante della loro “maturità” (in questo caso servono le virgolette) consiste nel sapersi arrangiare in molte circostanze, nell'avere una capacità di comprensione delle situazioni e delle persone che li mette in condizione di perseguire con la massima libertà il proprio utile più immediato, investendo il minimo possibile in tutto quello che non serve allo scopo.
Sono ragazzi che imparano prestissimo a guidare moto e macchine e ad avere un rapporto adulto con le ragazze; magari, se messi a lavorare per qualche tempo da una parte o dall'altra, funzionano benissimo e sono attenti e responsabili, sanno gestirsi con equilibrio in molte situazioni anche complesse della vita quotidiana, ma restano indifferenti (o scappano...) di fronte alla responsabilità di costruirsi una coscienza e una personalità anche attraverso il confronto con quel grosso pezzo del mondo che possono incontrare solo o soprattutto a scuola. Qui da noi, nell'operoso nordest, è un atteggiamento abbastanza comune, che spesso assorbono in famiglia. E' gente, soprattutto maschi (ma anche qualche tosa) che viene a scuola e ti guarda dall'alto in basso, aggiungendo al naturale tasso di supponenza dell'adolescente che ne sa molto più di te, vecchio arnese, anche questa superiorità, che gli dà il suo solido disincanto per tutte le cose a cui tu, povero (e un po' ridicolo) ingenuo, hai creduto e magari credi ancora.
Sul piano didattico sono difficilissimi da trattare: spesso hanno un'intelligenza pronta e un solido senso della realtà, che li aiuta a capire parecchie cose presto e in misura sostanziale. Per cui a loro basta un po' di impegno per raggiungere il livello di prestazioni che ad altri costa lunghe ore e grossi sforzi, e se si alza il livello della sufficienza sono questi, volenterosi e un po' crudi a soccombere, e non loro, che sono ben disposti a prendere anche diverse insufficienze, se appena sanno che poi alla fine verrà loro offerta una possibilità di recupero (cfr. All'ultimo) che verosimilmente riusciranno a sfruttare.
Ma la vera sfida è mostrare loro che non sei affatto un ingenuo, mostrarglielo tutti i giorni, nella gestione della classe ma anche nella conoscenza del mondo che mostri di avere anche ed anzi soprattutto attraverso le cose che hai studiato. Agli studenti in genere devi dimostrare per prima cosa di essere un essere umano, ma con questo tipo di studenti la sfida è veramente sul piano della personalità. Il punto è che devi essere capace di portarla sul piano dell'umanità, anche nel senso antico dell'humanitas, della cultura. Devi provare a portarli sul tuo terreno. E non è facile. Molto spesso ti guadagni un po' di rispetto, insinui qualche dubbio, ma convincerli, provocare un cambiamento, è molto raro. Le tue forze e armi non bastano...
Molti anni fa sono entrato nella classe di S., una quarta. S. era chiaramente più sveglio e adulto dei suoi compagni sul piano umano, molti colleghi me ne avevano parlato come di uno degli studenti più difficili che avessero mai avuto, per la sua arroganza, per la sua capacità di manipolare i compagni al limite del bullismo (con qualche episodio oltre il limite), per il suo innegabile fascino nei confronti di diverse ragazzette, che poi venivano usate da lui in diversi modi, alcuni evidenti anche per noi e altri che possiamo immaginare, e infine per come riusciva con estrema abilità a sfruttare tutte le risorse consentite dal regolamento scolastico e tutte le riserve di indulgenza che la scuola concede (giustamente) agli studenti, a priori e a prescindere. Furbo, sfuggente, sottilmente ironico, era naturalmente uno dei fattori principali che rendevano difficile il rapporto con tutta la classe, naturalmente perturbata in gradi diversi a seconda di quanto il magnete S. era riuscito ad attrarre i diversi compagni.
Preoccupante, ma anche interessante. Con calma e regolarità, anche col sostegno dei colleghi, abbiamo cominciato a mettere in atto una strategia abbastanza precisa: niente persecuzioni ma molto rigore, e questo per tutta la classe ma per lui in particolare, senza che ci fossero differenze sensibili: il punto era che quello che altri accettavano con sostanziale tranquillità (o passività) per lui era già un'offesa o un problema. Ma spesso si tratteneva e non c'erano grossi problemi. Alla nostra scarsa elasticità sul piano del comportamento corrispondeva una grossa apertura sul piano didattico: prof. sempre pronti a fare ripassi e verifiche in più, nei limiti del possibile, sia per dare una mano agli studenti più fragili, sia per non offrire alibi a lui, che comunque non approfittava gran che di questa disponibilità. E infatti, man mano che le materie e gli argomenti diventavano più impegnativi, il suo rendimento calava, mentre altri in classe sua (non tutti) facevano progressi notevoli.
A un certo punto si è arrivati a un collo di bottiglia: la tensione che gli stavamo provocando da due parti (comportamento e profitto) ha cominciato a metterlo in difficoltà: gli facevano pressioni in casa perché aveva diverse insufficienze e non era più così sicuro di cavarsela tranquillamente. E poi a scuola cominciava a non sentirsi più così superiore e rispettato e avevamo l'impressione che anche alcuni dei compagni un po' più sfigati (ma che si stavano rassicurando) ogni tanto gli rivolgessero qualche occhiata ironica, anche se in fondo di lui avevano ancora un po' paura.
Allora sono successi alcuni piccoli incidenti: S. ha commesso qualche mossa falsa e ha cominciato a mettersi un po' in urto con diversi prof.: probabilmente si sentiva un po' una bestia in gabbia e il conflitto è stato inevitabile. Non che avessimo pianificato tutto, ma le cose andavano come volevamo: abbiamo parlato con i genitori, con lui, con lui e i genitori insieme, e la cosa sembrava potesse funzionare. Gli abbiamo fatto notare che oltre al bastone che stavamo usando, la carota era lì, lo era sempre stata, bastava prenderla e mangiarla: sapevamo benissimo che era in possesso di un'intelligenza già matura e potenzialmente brillante e gli abbiamo fatto vedere che l'uscita dalla gabbia in quella direzione era aperta, cercando di convincerlo che la cosa non sarebbe neanche stata troppo faticosa, una volta presa l'abitudine di lavorare un po' seriamente. E lui quella strada l'ha presa: non con grande decisione ma anche senza vere resistenze: si è messo a investire un po' di più, ha ottenuto qualche risultato onesto e tranquillo e ha fatto vedere che in quel momento il suo limite era che non era abituato a studiare (in quel campo sì era ancora un po' ingenuo...). Certo, la sua motivazione in quel momento non era l'interesse autentico per le cose che studiava, ma la sua volontà di non perdere la sfida con noi, il suo desiderio di non fallire là dove comunque non gli era stato possibile batterci a suo modo. Ma, come tutti sanno, se studi e ottieni risultati l'interesse spunta fuori, dove più dove meno, e quindi era solo questione di tenere e aspettare, e continuare a fargli capire, come già stavamo facendo, che credevamo in lui e che eravamo certi che ce l'avrebbe fatta e che quello era il modo in cui si sarebbe guadagnato stima e credibilità universali e avrebbe anche potuto sfruttare davvero la sua maturità umana, comunque notevole. Alla fine il risultato è stato accettabile anche senza sconti: un paio di materie a settembre, non un problema insuperabile, e poi ci vediamo a ottobre per riprendere il lavoro e per portare a termine la sfida.
Invece a ottobre S. non c'era, se n'era andato in un'altra scuola, non so se cambiando anche indirizzo (di studi) o no. Una volta che credevamo di aver cavato (lo si può proprio dire...) il ragno dal buco, questo si era trasferito altrove a tessere le sue tele: paradossalmente noi non eravamo stati abbastanza polverosi e stantii da costituire per lui un habitat ideale. Vabbè, pazienza: un problema in meno. Ma anche una delusione. E, per me, la convinzione che il rischio che S. da grande faccia malegrazie adesso è sicuramente un po' più grande che se fosse restato da noi. Non so più niente di lui, ma S. è un ragazzo intelligente e spero che ce l'abbia fatta da solo a capire almeno in parte che cosa serve per diventare grandi senza essere la peste dell'umanità.

P.S. Naturalmente in tutta questa storia i veri protagonisti sono tre: Platone, Callicle e Protagora. E naturalmente io faccio Protagora.

P.P.S. Ecco, per concludere con una cosa che non c'entra: immaginiamo che S. fosse riuscito, in alcune materie e/o in alcune occasioni, a copiare dei compiti e a farla franca. Di tutta questa grossa e seria operazione niente sarebbe rimasto più in piedi. Immaginiamo che uno dei prof. non avesse tenuto botta e non fosse riuscito a reggere la sfida sul piano personale e si fosse lasciato intimorire o avesse regalato delle sufficienze facili perché non aveva abbastanza voglia di combattere. Come si fa a lavorare bene in casi così difficili se non si è persone serie, disposte a combattere e a reggere questo tipo di sfide, così dure e impegnative? Questo ci potrebbe riportare alla questione somma e radicale della selezione degli insegnanti. Ma non ora e non qui.

3 commenti:

  1. Varda che ghe xera n'altro camin sun che no'l xe mai riva'

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  2. No me ricordo, a go da verlo scanceà. Ti te ricordi cossa che gèra?

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  3. Uhm forse mi sono sbagliata non lo trovo più

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