martedì 3 luglio 2012

ODERINT, DUM SEQUANTUR

Prima storia recente (la seconda spero la racconti direttamente la protagonista, gliel'ho chiesto, spero che trovi il tempo...). Sera di primavera avanzata, fine settimana, passeggiata in piazza e dintorni. Suonano fuori dal baretto e ci fermiamo a
sentire. Casualmente vedo che il service audio del piccolo spettacolo è affidato a N.S., allenatore di rugby nelle giovanili, che il batterista è suo figlio meno che quattordicenne mentre il bassista è un fiol che è a scuola da me, ma non nella mia sezione. Fanno cover di vario genere, se la cavano, si ascoltano con piacere. Ma non è questo il fatto. Il fatto è che a un certo punto salta fuori lo studente G.N., poco più di 20 anni, che mi saluta con calore e mi dà la mano e si ferma a parlare volentieri. Sembra tradire perfino una punta di emozione. Che sia vero? Se non è vero è un ottimo attore. Ma perchè non dovrebbe essere vero? Non penso possa succedere spesso che gli studenti siano talmente machiavellici da venirti a salutare con un entusiasmo finto apposta per poterti prendere per il culo. Se gli stai sulle balle e pensano che gli hai solo rovinato l'esistenza per niente non hanno altro da fare che stare distanti ed evitarti, cosa che infatti a volte fanno. Se vengono lì e si fermano apposta dovrebbe voler dire che almeno non pensano che gli hai fatto solo del male.
In genere diffido un po' delle manifestazioni di stima/affetto, per principio, come reazione di ritorno alla loro diffidenza strutturale, sulla quale ho già ragionato. Mi è capitato ogni tanto di trovare colleghe e colleghi che sostengono di essere adorati dai loro studenti: io spero per loro che abbiano ragione e li invidio anche un po'. Ma poi diffido. Magari sarà, appunto, per invidia. Però mi sono abituato a considerare con un certo realismo e disincanto questi rapporti. Faccio un esempio: mi capita abbastanza spesso di vedere C.L. e T.T., da sempre amici l'uno dell'altro, ormai adulti e al lavoro, dei quali però mi fido perché non me le mandano a dire e esprimono sempre valutazioni realistiche, poco sentimentali e, direi, non ipocrite. L'esempio, appunto, è la confessione che mi hanno fatto una volta: hanno spiegato che nel momento in cui io li rimproveravo perché non stavano attenti o facevano casino o non studiavano, dei miei rimproveri se ne sbattevano allegramente. Invece, hanno ammesso, se il rimprovero veniva dalla collega S.R., serissima e appassionata prof. di inglese, una punta di dispiacere e pentimento la provavano. Studenti normali, niente affatto bastardi, anzi, tutto sommato onesti; e capaci, pur nella loro ordinaria lotta quotidiana contro l'istituzione scolastica, di portare a casa una formazione di una certa consistenza. A questo tipo di cose credo, e mi chiamo già molto contento per il fatto che mi vengano a cercare con una certa regolarità. All'adorazione faccio più fatica a credere. Ma magari mi sbaglio ed è a me che la cosa non capita...
Insomma, arriva N. e mi racconta tutto contento che sta finendo la triennale, che si diverte e che questi anni di studio sono stati interessanti. Mi spiega che ha mandato in giro via mail un curriculum e alcuni dei lavori che ha fatto, e che nel giro di un'oretta gli è arrivata una risposta da uno studio importante e prestigioso di una città del Veneto, con un invito ad andarli a trovare per accordarsi su un periodo di pratica subito dopo la laurea. Bravo, dico. E' tutto contento, si vede. Son convinto che se lo merita e spero che l'entusiasmo duri.
Notate che G.N. alle superiori ha faticato: non era uno studente brillante. L'ultimo anno non arrivava al sette di media. Ha combattuto con qualche difficoltà contro diverse materie, appesantito da una mancanza di ordine e di sistematicità che a volte temevamo fosse cronica. Ma ha combattuto. Con coraggio, con molto realismo, con ostinazione. Verrebbe da dire con umiltà, se non si avesse paura di dare l'impressione di incoraggiare un atteggiamento servile nei fioi. Ha sempre avuto l'atteggiamento giusto, quello di chi vuole prendersi le cose, e viene lì da te e ti chiede cos'hai da dargli e poi raccoglie e mette via. E ha fatto i suoi passi avanti. Penso e spero che quello che si vede adesso sia anche il risultato di quella lotta coraggiosa, che quello sia stato uno dei passaggi che hanno permesso a G.N. di essere adesso un uomo, o almeno più uomo di prima (quando mai siamo uomini-uomini?). Ma pare che lo pensi anche lui. Non è che ringrazi esplicitamente, ma mi fa un'offerta meravigliosa. Mi dice che se voglio viene a scuola a parlare ai fioi di adesso. Per dire loro di seguire, di studiare, di darsi da fare. “Vengo - mi fa – a dire che facciano quello che dite. A dire: 'Vi romperanno le scatole e vi faranno soffrire. Magari li odierete. Ma seguiteli. Fate il percorso che vi fanno fare e arriverete da qualche parte'. - Va bene?” Mi chiede. Azzosevabene, rispondo. “Sappi – gli dico - che questa me la vendo tutte le volte che mi serve”. “Faccia pure”, mi incoraggia.
Farò, cercando di non esagerare, portandomi comunque dietro i dubbi che conservo sempre sul valore di quello che faccio, ma sapendo anche che, malgrado questi dubbi, non faccio niente, non faccio fare niente ai fioi, se non penso che valga, che lavorare su quella cosa faccia guadagnare dei punti alla loro intelligenza e alla loro coscienza delle cose. E' il minimo. Ma è anche il massimo...

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