giovedì 12 aprile 2012

COACHING (1)

"I'll do what I can to help y'all. But, the game's out there,
and it's play or get played. That simple."

Non solo non si fidano: il più delle volte ti considerano un nemico. E’ quasi normale, non c’è molto da soffrire o offendersi, almeno in linea di principio. Ma poi, come dicevo (cfr. Non si fidano) la cosa in realtà fa soffrire e bisogna imparare a passarci sopra e andare avanti, oltre. Si ha un bel daffare a cercare di far capire che il nemico è fuori e che quello che si cerca di fare a scuola è quello che si fa con un amico, con la morosa, quando offri qualcosa, quando dici: “Vieni che ti faccio assaggiare qualcosa di buono, vedere qualcosa di bello”.
E’ una grande fatica far capire che è in quelle cose, nello studiare che sta una delle principali possibilità di salvezza e libertà per un essere umano. A un certo punto arrivi a capire perfettamente Truffaut che diceva (forse non è ancora abbastanza nota da essere diventata banale…): “Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica faranno la mia felicità fino alla mia morte”. E speri di poter trasmettere quest’idea con tutta la forza che hai, e qualcosa passa, a volte funziona. Quantità a parte (anch’io tre film al giorno me li posso sparare solo in qualche giorno d’estate…), la cosa può funzionare per tutti, salvo pochi subumani: molti sostituiscono la cultura con la natura e/o lo sport, ma è la stessa cosa, queste passioni si chiamano e si alimentano l’una con l’altra (a volte sembrano ostacolarsi, ma, disponibilità di tempo a parte, se succede che si ostacolano allora vuol dire che anche in quel caso qualcosa non ha funzionato nella formazione…) e uno degli scopi principali della scuola dovrebbe essere quello di dare esca a queste passioni, alimentarle, consentire loro di nascere e crescere.
Ma quest’idea che tu che insegni sei il nemico, che è radicata e capillare e viene passata con successo da tante famiglie ed eserciti di ignari passati attraverso una squola a volte distratta a volte imbranata a volte decisamente colpevole, è un ostacolo molto alto e ostinato. E in base a questa idea tu sei una bestia dello stesso tipo dei loro genitori. Spesso non sembra esserci alternativa tra 1) lo studente che è sveglio ma crede che l’unico modo di essere sveglio sia trattare le due razze bestiali, Padri e Profi, come nemici naturali e 2) lo studente succube la cui sottomissione ai Padri ne ritarderà lo sviluppo in modo pericoloso. Una strada intermedia c’è: ce ne sono esempi belli e luminosi, a volte un po’ parrocchiali, a volte miracolosamente e felicemente precoci, ma sono decisamente minoritari. E molto mi persuade che una chiave fondamentale del problema stia, ancora una volta, nell’ethos, nel costume. Come abituare i fioi a pensarti diversamente? Che tipo di rapporto sostituire a questa pericolosa, antica (cfr. Ovidio e il suo plagosus Orbilius), ma non necessariamente ineluttabile tensione negativa che fa sì che lo studente rifiuti, spesso per principio, qualsiasi cosa tu gli proponi, salvo poi a volte scoprirne più tardi, ovviamente e naturalmente, il valore inestimabile?
Neanche allenare è facile, ma lì il presupposto è che si lavora insieme per affermarsi su qualcosa o qualcun’altro, per migliorarsi più che si può e sperare di avere la meglio su qualcuno che si è preparato come te ma magari non altrettanto bene, oppure che non ha altrettanto talento. E’ vero, giocare è una scelta libera e questo fa tutta la differenza del mondo. Ma andare a scuola non è in tutto e per tutto una roba che sei costretto a fare: ci sono tante alternative e resta frutto di una scelta sia quanto impegnarsi sia il dove, e la direzione che si sceglie. Se si riesce a far passare questa cosa tutta la faccenda si sposta su di un piano adulto (più adulto, perlomeno, perché un certo tasso di ipocrisia resta sempre in mezzo a tutte le faccende delle verifiche e dei voti) e si riesce a lavorare davvero insieme: non sempre, non su tutto, ma è già tutta un’altra cosa. Con certe classi lo si prova: niente di magico, è semplicemente lavorare bene, lavorare con gente di cui ti fidi, persone a cui dai da fare una cosa sapendo che la faranno meglio che possono, da onestamente a bene a benissimo. Persone per cui ti sbatti quanto ragionevolmente puoi. E’ vero che come prof. ti devi sbattere comunque e per tutti. Lo fai, anche, per quanto loro credano che tu sia una specie di animale guidato dallo stomaco che agisce solo in base a simpatie e fa preferenze e differenze di ogni genere (prima o poi è ovviamente in programma un post dal titolo: Il prof ce l’ha con me…). Ma è chiaro che ci sono classi in cui entri con più e con meno voglia di fare, con più e con meno tranquillità e stimoli…
Da grande voglio fare il coach.

P.S. La citazione in cima è tratta da un telefilm poliziesco americano, The Wire, che ho visto un po’ (è in onda di questi tempi su Rai 4 o 5) ma che non mi piace molto: mi pare che presenti violenza e volgarità gratuite e un po’ostentate, come se quello fosse il principale motivo di interesse. Non so, non l’ho seguito bene. Ma a parte questo la battuta, attribuita a un (personaggio) poliziotto nero di nome Omar Little esprime esattamente quello che implicitamente dico ai fioi tutti i giorni.

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