martedì 5 luglio 2011

ATTIVO-PASSIVO

M. telefona e chiede aiuto. Il bocia (prima media, ragazzino sveglio) ci sta mettendo un sacco di tempo a fare i compiti per casa perché deve volgere un’intera coniugazione dall’attivo al passivo. L. in un minuto le spiega che c’è un piccolo algoritmo, un automatismo che non solo permette di fare l’esercizio con sicurezza, anche se in un modo un po’ meccanico, ma fa anche capire la logica della struttura morfologica della lingua. Intanto il passivo è fatto sempre di una parola in più rispetto all’attivo corrispondente.
Il passivo delle forme semplici è fatto di due termini invece che uno, quello delle forme composte di tre rispetto alle due dell’attivo. Poi la trasformazione si fa semplicemente coniugando il verbo essere al tempo e al modo della voce verbale attiva e aggiungendo il participio passato. Dopo un’ora M. ritelefona tutta contenta perché il problema è risolto. Bene. Ma queste situazioni hanno un retrogusto amaro. Cominciamo a introdurre, per ora molto brevemente, la questione degli ignari, di quella grande massa di persone che è stata a scuola tempo fa, un tempo più o meno lungo, e che della scuola ha mantenuto l’idea che si era fatto quella volta, legata alla propria epoca e, di solito, soprattutto alla propria particolare situazione.
Questo tipo di persone spesso non pensa che insegnare sia una professione e che ci siano delle competenze precise che si sviluppano attraverso un’esperienza consapevole. Pensa piuttosto che insegnare sia soprattutto un’attività facile e comoda, che porta via poco tempo e che chiunque potrebbe fare improvvisandosi da un giorno all’altro prof. di qualche materia a patto di averne una conoscenza appena più che superficiale. Va bene, mettiamo in conto il fatto che a volte nelle scuole c’è in giro gente straordinariamente incapace e dannosa, che sembra giustificare pienamente questa opinione. Ma non sono i più, anzi, non sono neanche molti, anche se lasciano una traccia bella evidente e rovinano significativamente la reputazione anche degli altri. Anche su questo torneremo.
Per adesso diciamo solo che episodi come questo sono interessanti. Il tipico ignaro tende normalmente a gettare grandi quantità di disprezzo sociale su te che insegni, fino a quando magari suo figlio non ti capita sotto, momento in cui comincia a leccarti e a cercare di catturare la tua benevolenza arrivando a volte a manifestazioni di deferenza degne di un satrapo persiano (mi pare che già Starnone avesse usato questa espressione, è giusta: certi genitori al colloquio tendono spontaneamente a inclinare la testa in modo da guardarti e parlarti dal basso…). Naturalmente tu che insegni non vuoi il disprezzo, ma a tua volta disprezzi la deferenza pelosa. Un normale rispetto è così difficile? Abbastanza, a quanto pare. Ma sono questi gli episodi che bisogna sottolineare: comunicando con l’esterno in genere e con gli ignari in particolare, non bisogna aver paura di sottolineare le esperienze che permettono di capire che dietro il mestiere di insegnare c’è, appunto, mestiere (e non solo). E nel momento in cui sono vulnerabili perché pensano con trepidazione al loro figlio, al suo futuro, al suo delicato equilibrio e alla sua crescita, lì bisogna colpirli. Ma piano e senza aggressività. Solo fare in modo che si ricordino, se possibile. E se lo notano e ti chiedono se avanzi qualcosa, diglielo pure: “Sì, avanzo qualcosa: (un normale) rispetto”.

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