venerdì 8 luglio 2011

ARRIVA IL GORILLA

Una delle mie metafore di più largo uso nella didattica è quella del gorilla. Non è necessariamente una metafora felice, anche se secondo me funziona. Serve a sottolineare quanto sia importante che lo studente, quando produce qualche genere di sintesi, scritta o orale (interrogazione, tema, questionario) metta al centro e in cima al suo ragionamento le cose che contano, quelle importanti. E’ veramente stupido che lo studente si abitui (e siamo noi che lo abituiamo o comunque lo lasciamo fare) a cominciare: “Luigi Pirandello nacque”.
La cosa importante è saper discutere, saper interagire, perlomeno, mostrare che si è in grado di seguire la linea di un ragionamento e di dire la cosa giusta al momento giusto. Per fare questo bisogna essere preparati, naturalmente, aver studiato quanto serve. Ma soprattutto bisogna abituarsi a considerare le cose che si studiano come cose in qualche misura vive. Lo ripeto, dipende da noi in larga parte. Ma questo rende necessarie e giustifica tutte le rotture di balle che infliggiamo agli studenti, purché utili a questo scopo. Non possiamo accontentarci di una ripetizione di dati, di un raccontino elementare. Neanche nelle scuole professionali. Adeguiamo il livello di difficoltà e il volume di conoscenze necessario, ma chiediamo di ragionare e non solo di mettere in fila dati senza significato. Invece loro spesso sanno parlare di un argomento solo seguendo lo schemino che si sono fatti, non sono in grado di dare ai fattori che considerano un ordine che tenga conto della loro importanza. E non possiamo lasciarli fare. La storia del gorilla dice che se uno entra in una stanza e ci trova dentro uno scimmione grosso e magari pericoloso, lo nota subito e ha una reazione, non si mette a considerare la struttura del fabbricato o il colore delle pareti o la polvere sul pavimento. Così durante le interrogazioni mi capita di interrompere lo studente che tergiversa chiedendo del gorilla e in questo modo ci si capisce subito. Va bene, prima o poi qualche studente mi dirà che entrando in classe lui trova spesso un gorilla e che quello sono io, ma basta esserci preparati.
Esame. Si arriva dalle parti di Pascoli e del suo noto e in qualche misura contraddittorio sostegno all’impresa coloniale in Libia. Lo studente M. non se ne ricorda. Per diverse volte la prof. gli prova a chiedere cosa pensa Pascoli della guerra di Libia, fornisce qualche spunto, dà piccoli suggerimenti. A un certo punto M. ha una mezza illuminazione, ripesca il file, ma non riesce a connettersi al discorso aperto, a proseguire la frase della prof. Deve rimettersi nel suo ordine mentale e comincia: “Questa guerra viene sostenuta anche da alcuni intellettuali tra cui Pascoli…”. Neanche è riuscito a dire “Ah sì… Pascoli è a favore della guerra…”
Forse non è neanche l’esempio migliore per illustrare il problema del gorilla, ma è della stessa specie. Non dobbiamo abituare gli studenti a raccontare le cose secondo uno schema canonico, di cui però non vedono la ragione e avvertono il peso. O riusciamo a dare loro il senso che quello che studiano è realtà o siamo finiti. Loro pensano di doverti “fare contento” dicendoti “quello che vuoi” e parlando in modo anonimo di cose che con loro non c’entrano niente. Allora tanto vale metterli più in difficoltà e interromperli, costringerli a interagire. Il rischio che si corre, scontato, è che loro ti guardino con smarrimento e odio e ti dicano che non capiscono cosa vuoi, pensando tutto sommato che alla fin fine loro preferiscono l’operazione semplice di impararsi e ripetere una roba inutile. Invece occorre costringerli a prendere atto della realtà della realtà, del fatto che la realtà è reale, che parliamo sempre di cose vive. A meno che non siamo noi a ucciderle, cosa che tra l’altro siamo capacissimi di fare. Salviamo il gorilla: diamogli la caccia per mantenerlo in vita.

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